sabato 27 giugno 2009

L'amore è un termosifone caldo








Mario era molto alto e magro. Le spalle uguali ai fianchi. Braccia lunghissime come il collo dal pomo d'adamo sporgente, alla cui sommità svettava una testa tonda. Nel complesso ricordava un giovane condor implume, a causa della precoce calvizie.
Mario non era matto, ma lo stesso era chiuso in manicomio. Non era matto, solo, non capiva le cose, ma a quei tempi non si faceva differenza e per questo lo avevano lasciato lì appena 
adolescente. Per il suo bene ,si intende. Come poteva vivere fuori uno che non capiva le cose?
Mario era un tipo tranquillo. 
Parlava pochissimo e ubbidiva subito e celermente ai semplici comandi degli inservienti. Questa sua docilità gli aveva permesso di rendersi utile nelle enormi 
cucine di acciaio rilucente dell' Istituto. Piccole commissioni, mettere a posto le cose, scaricare il camion delle derrate alimentari. Per ricompensarlo, gli addetti, ogni tanto, gli regalavano 
qualche dolcetto, una o due merendine, un panino fresco.
Mario non chiedeva mai niente, non chiedeva niente di più, nè avrebbe saputo immaginare qualcosa di più.
Un giorno di primavera , l'alba era appena sorta. Rosa com'era sembrava promettere dolcezza e serenità e Mario uscì nel grande giardino che circondava i padiglioni. Le sue scarpe da ginnastica, presto, divennero umide di erba e rugiada e si sentiva così felice ed in pace che il suo sorriso a metà sarebbe stato giudicato quasi bello, se ci fosse stato qualcuno ad osservarlo.
Mentre si aggirava, con le mani dietro la schiena, nel suo piccolo paradiso per poco non incespicò. Stava guardando in alto, le nuvole  gli ricordavano il cotone idrofilo delle iniezioni che gli facevano. Riportando lo sguardo alla terra, si accorse che l'ostacolo che stava per farlo cadere a faccia in giù, era  un piccolo micio bianco e nero, un gatto Silvestro dei cartoni che adorava.
Sfacciato e per nulla intimidito dall'altezza di quel corpo che torreggiava su di lui, il gatto emise un singolo "wha !" e poi stette seduto a guardare quello strano essere negli occhi ,come ad aspettare,fiducioso, una risposta.
"Bello gatto,bello gatto!" pensò Mario. Un pensiero semplice, ma quante emozioni!
Il gattino, sfacciato,cominciò una danza fatta di strusciamenti lungo le magre caviglie di Mario.
"Bello, bello gatto" . Mario lo carezzò dalla testa alla coda con le sue dita magre ed in risposta il gatto emise un altro paio di wha. " Bel gatto ha fame? Mario ti dà la pappa." .
E senza frapporre altro tempo prese il gatto tra le  mani e lo infilò sotto il maglione, dove il micio fiducioso rimase,finchè  arrivarono non visti, nella stanza bianca e dallo scarno 
arredamento che si riduceva ad un letto e un comodino ed a una figurina di Gesù, dove Mario trascorreva i suoi momenti di inattività, guardando il soffitto e cullandosi da solo sul letto dalla testata a sbarre di metallo color crema.
Passarono dei bellissimi giorni insieme. Tenerezze e latte rubato dalla cucina. Abbracci e leccatine sulla faccia. Pelo morbido e carezze ossute. Dormire insieme, abbracciati, che la stanzetta si colorava di verde smeraldo. Ma un wha di troppo li perse. 
Un infermiere,durante un controllo, scoprì bello gatto, acciambellato sul petto di Mario e cominciò ad urlare. Niente animali in manicomio! Togli 'sto sacco di pulci di qui!! Ora ci penso io!
E senza perdere tempo, prese con malagrazia, dalla pelle della nuca  il gatto, che aveva piantato le unghie nella maglietta e nella carne di Mario per non essere separato dalla sua mamma,  e si avviò verso la porta. 
Il quieto Mario si sollevò di scatto da letto. "NO, il gatto no, lascia il gatto!" e senza aggiungere altro colpì l'infermiere con le sue nocche sporgenti in piena faccia, facendogli sanguinare il naso, macchiando di rosso la poco pulita uniforme bianca.
Risultato, il gatto fu buttato fuori, Mario si prese un sacco di botte da un nutrito gruppetto di infermieri volenterosi, fu "attaccato" al letto e restò in isolamento per 2 mesi, con  
supplemento di farmaci che avrebbe steso un cavallo.
Mario, nonostante le medicine, pensava sempre a bello gatto e si sentiva così triste come gli avessero strappato il cuore a morsi. Le pareti della stanza tornarono verdino diarroico e il 
soffitto era solo un soffitto, niente nuvole in movimento.
Dopo qualche tempo l'isolamento finì, ma non il dolore. Non usciva più in giardino sapendo che bello gatto non ce lo avrebbe ritrovato.
Riprese a lavoricchiare in cucina, ma per la maggior parte del tempo si recava nella cappella dell'Istituto. Non a pregare ma a consolarsi. Nel silenzio della piccola chiesa si sentiva meno 
solo e contenuto, rassicurato. Fissava per ore il crocifisso sull'altare e in qualche modo si riconosceva in lui, inchiodato, sanguinante e solo. "Bello Gesù, povero Gesù, bello Gesù" era 
tutto quello che riusciva a pensare, ma quanta dolcezza e pietà per quel povero Cristo.
Un giorno, più solitario degli altri, Mario si avvicinò al crocifisso e cominciò a carezzarlo e baciarlo ed abbracciarlo."Bello gesù, povero Gesù".
Ebbe un'illuminazione. Corse in cucina e quando nessuno faceva caso a lui, cosa che succedeva spesso, sottrasse un grosso barattolo di Nutella e lo nascose sotto il maglione.Tornò alla cappella e, infilate due dita nel barattolo, pose sulle labbra della statua un pò di cioccolata. 
Mario si sentì subito contento. Prendersi cura di Gesù. Si, si... gli piaceva. "Bello Gesù!"
I problemi nacquero quando Mario si rese conto che di crocefissi era pieno l'istituto.
E gli altri piccoli Gesù? Mica poteva lasciarli digiuni! Ma quanti erano!!! "Belli Gesù!".
Di notte, si aggirò col suo barattolone e, per fare prima, staccava i crocifissi dal muro e li infilava a testa in giù nella cioccolata. Ci volle un bel pò a finire il giro di pappa, ma alla fine ogni piccolo Gesù ebbe la sua parte di coccole e Mario, stanco ma felice, tornò nella sua stanza a riposarsi.
La mattina, mentre dormiva, fuori dal suo latteo eremo,scoppiò un grosso casino.
Le suorine, che comandavano come sergenti maggiori il manicomio, notarono subito quello che era successo. Dapprima, dato il colore della sostanza spalmata sulla faccia del loro Gesù, pensarono ad un atto blasfemo che fece rizzare quei quattro peli annidati sotto le loro cape di pezza. Poi, 
un infermiere più coscienzioso degli altri, con un dito raccolse un pochino dell'oscena sostanza e portandosela al naso esclamò: "Ma non è merda! E' cioccolato!!". "Cioccolato?!?!", dissero in coro le suorine con una mano sulla bocca aperta dalla sorpresa e l'altra sul cuore acceso e molto offeso. Dopo brevi indagini, entrando nella stanza di Mario,fu facile individuare il responsabile. 
Aveva ancora la Nutella sul comodino e dormiva abbracciato ad un crocifisso. Le suorine uscirono dalla stanza dopo aver dato ordini precisi. Dopo un pò di botte, Mario fu di nuovo legato al letto e messo in isolamento per tre mesi. Scherza con i fanti ma....
Purtroppo Mario di proverbi non sapeva nulla.
Arrivò l'inverno, gelido e spietato. Mario,finito l'isolamento, usciva poco dalla sua stanza e solo per rendersi utile in cucina. Le cuoche cicciotte gli volevano bene. Oddio, bene...
Fosse stato in grado di pensare meglio, Mario avrebbe potuto chiedersi come mai tutte le cuoche fossero obese e farsi venire qualche sospetto come quelli che turbavano le suore, che chiudevano un occhio sul cibo che spariva. Anche loro avevano le loro marachelle da coprire. Le cuoche, dunque, gli volevano bene. oddio, bene...
Lo tolleravano per la sua ingenuità e laconicità e perchè era sempre disponibile a sollevare pesi al posto loro e a svolgere altre incombenze, che  loro non gradivano troppo.
L'inverno si aggirava come uno spettro di merluzzo congelato per i corridoi del manicomio.
Il riscaldamento non era sempre in funzione, ma veniva acceso (nelle stanze dei ricoverati,si capisce), per poche ore al giorno. La stanza di Mario era gelida come le altre. 
"Mò è che è la Siberia umana?!", diceva spesso un altro ricoverato e la coperta militare sul suo letto scaldava poco e male. Mario dormiva in posizione fetale, quasi a trattenere il calore, 
scaldandosi da solo.
Si sentiva ghiacciato anche dentro. Senza uno scopo. Senza nessuno di cui prendersi cura. 
Nemmeno di se stesso. Le poche ora in cui il riscaldamento era in funzione le passava abbracciato al radiatore. Il termosifone gli voleva bene, lo scaldava dentro e fuori e lui voleva bene al termosifone, grato dell'affetto che gli dimostrava. Riusciva a sentire, durante quei momenti, una fiammella sottile illuminargli il cuore e l'anima. Come un lampione nella nebbia. 
Come una scintilla rossa nella grotta oscura. "Bello termosifone! Bello!"
Come ricambiare quest'affetto? Mario ci pensò su per giorni, si fa per dire.
Poi un giorno sottrasse un cartone pieno di brick da litro di latte dalla cucina.
Tornato nella stanza, aspettò l'ora in cui il calorifero entrò in funzione e, con dolcezza e premura, versò tutto il litro lungo le scalanature grigie. Ma si rese conto che di caloriferi nell'istituto ce n'erano un sacco e mica poteva lasciarli digiuni! Silenzioso come l'ombra di un 
ombra, si aggirò per i  lunghi corridoi. La sua sagoma si stagliava ancora più magra e lunga sulle pareti e scivolava con lui, mentre nutriva tutti i termosifoni che incontrava sulla sua strada. Il latte colava lento e denso, per finire sul nero linoleum dove formava delle pozze bianche d'amore. Mario era così contento! " Belli termosifoni!". Naturalmente, la mattina dopo, gli 
inservienti, nulla sapendo dell'amore e del prendersi cura di qualcuno, erano davvero incazzati neri. Fu facile capire chi fosse il responsabile di quell'atto vandalico. Bastò loro seguire la scia 
bianca al contrario per arrivare alla stanza di Mario. Naturalmente giù botte, giù iniezioni, giù legato al letto in isolamento. Per mesi. Mario smise di voler bene e di provare affetto per 
chiunque. Restò confinato nella sua stanza per anni. Guardava solo il soffitto tutto il tempo, senza pensare a nulla. Senza provare nulla. Senza sentire nulla. Senza amare nulla, neanche sé. 


Quando dieci anni dopo ci incontrammo e riuscii a farlo uscire dal manicomio, ebbi il mio bel daffare per convincerlo che il matto non era lui.

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